Cambio mansione e mancata formazione
04/11/2025
Cambio mansione e mancata formazione. Commento a Sent Cassazione Civile, Sez. Lavoro, 31 gennaio 2012, n. 1401
La sentenza in commento non è nuova ma torna ad essere di costante attualità: riguarda il licenziamento per rifiuto di un lavoratore di mutare postazione lavorativa, rifiuto giustificato dalla mancata formazione e informazione richiesta dal lavoratore in relazione ai nuovi rischi. Ripercorriamo la vicenda perché la questione della formazione in caso di “cambio mansione” periodicamente si ripropone, anche durante i corsi di formazione, ed è spesso oggetto di pronunce da parte di giudici sia di merito che di legittimità.Estremi della Sentenza
Corte Suprema di Cassazione – Sezione Lavoro
Sentenza n. 1401 del 31 gennaio 2012
Ricorrente: D. Prefabbricati S.r.l.
Controricorrente: N.I. (Operaio)Soggetti coinvolti, questioni trattate e capi di imputazione
La controversia riguardava il licenziamento per giusta causa intimato dalla società D. Prefabbricati S.r.l. al lavoratore N.I., operaio, che aveva rifiutato di spostarsi nella nuova postazione di lavoro (dal reparto A al reparto B).
La questione giuridica principale concerne la legittimità del rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione in una diversa postazione per mancata formazione e informazione sui rischi specifici della nuova mansione, ai sensi dell’allora D.Lgs. 626/1994, artt. 21 e 22 (oggi artt. 36 e 37 del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 – Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro), e dell’art. 1460 c.c. (eccezione di inadempimento, in collegamento con l’art. 2087 c.c. e l’art. 15 D.Lgs. 81/2008 sulle misure generali di tutela).Esposizione dei fatti
Il lavoratore N.I. fu assegnato al reparto B, ma rifiutò lo spostamento sostenendo di non avere ricevuto adeguata informazione e formazione sui rischi connessi alle nuove attività.
La società, dopo ripetuti inviti e una convocazione in ufficio presso il direttore generale (alla quale il lavoratore non si presentò), dispose il licenziamento per giusta causa.
Il lavoratore impugnò il licenziamento chiedendone l’annullamento e la reintegrazione ex art. 18 L. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori, come modificato dalla L. 92/2012 e dal D.Lgs. 23/2015 per i lavoratori a tutele crescenti).Responsabilità contestate nel dettaglio
Alla società datrice veniva contestato l’inadempimento degli obblighi formativi e informativi previsti dal D.Lgs. 626/1994 (oggi abrogato e sostituito dal D.Lgs. 81/2008):
- Art. 21 D.Lgs. 626/1994: obbligo di informazione dei lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute connessi all’attività dell’impresa, sulle misure di prevenzione adottate e sui nominativi degli addetti alla sicurezza (oggi art. 36 D.Lgs. 81/2008).
- Art. 22 D.Lgs. 626/1994: obbligo di formazione adeguata e specifica in materia di sicurezza, tenendo conto dell’evoluzione dei rischi e dell’insorgenza di nuove mansioni (oggi art. 37 D.Lgs. 81/2008).
L’inosservanza di tali obblighi, secondo la Corte territoriale, giustificava il rifiuto del lavoratore ex art. 1460 c.c., il quale dispone che “nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascun contraente può rifiutarsi di adempiere se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria obbligazione”. Tale disposizione va oggi letta in combinato disposto con l’art. 2087 c.c. e con l’art. 15 del D.Lgs. 81/2008, che sanciscono il principio di massima tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.Giudizio di I grado e relative motivazioni (Tribunale)
Il Tribunale respinse il ricorso del lavoratore, ritenendo legittimo il licenziamento e insussistente un mutamento di mansioni tale da richiedere nuova formazione o informazione.
Fu ritenuto che il rifiuto del lavoratore fosse ingiustificato e costituente grave insubordinazione.Giudizio di II grado e relative motivazioni (Corte d’Appello di Torino)
La Corte d’Appello di Torino riformò integralmente la sentenza di primo grado, accogliendo il ricorso del lavoratore.
Ritenne che:
- il rifiuto era giustificato ex art. 1460 c.c., in quanto la società non aveva adempiuto ai propri obblighi di formazione e informazione sui rischi della nuova postazione;
- il comportamento del lavoratore non era di rifiuto generalizzato della prestazione, ma limitato a una specifica postazione ritenuta pericolosa;
- il lavoratore, attivo sindacalmente, aveva agito non solo a tutela personale ma anche per migliorare la sicurezza collettiva dei lavoratori.
La Corte annullò il licenziamento, ordinando la reintegrazione ex art. 18 L. 300/1970 (nella formulazione antecedente alla L. 92/2012).Motivi del ricorso in Cassazione
La società D. Prefabbricati propose sette motivi di ricorso:
- Violazione del D.Lgs. 626/1994, artt. 21-22 (oggi artt. 36 e 37 D.Lgs. 81/2008) – La difesa della società eccepisce che l’obbligo formativo ex D.Lgs. 626/1994 (oggi artt. 36 e 37 D.Lgs. 81/2008) sussiste soltanto in presenza di un mutamento di mansioni o di trasferimento, sostenendo che lo spostamento di postazione non integrasse un cambio di mansione tale da comportare nuovi rischi. In tal modo la società tenta di circoscrivere l’ambito applicativo dell’obbligo formativo, presentando la riassegnazione come mera variazione organizzativa interna non rilevante ai fini della sicurezza. L’argomentazione mira a negare l’inadempimento datoriale e, conseguentemente, a escludere la legittimità del rifiuto del lavoratore ai sensi dell’art. 1460 c.c. – la formazione sarebbe necessaria solo in caso di mutamento di mansioni o trasferimento.
- Vizio di motivazione – erronea valutazione delle prove testimoniali circa la pericolosità del reparto B.
- Vizio di motivazione – erronea affermazione della mancanza di formazione. La difesa sostiene che la Corte d’Appello abbia errato nel ritenere non fornita la formazione al lavoratore: secondo la società, la formazione era già stata impartita e non era necessario ripeterla, poiché lo spostamento di postazione non implicava l’acquisizione di nuove competenze o l’esposizione a rischi diversi. Tale linea difensiva mira a dimostrare che la Corte di merito ha mal interpretato le prove e sopravvalutato la portata del cambio di postazione, escludendo quindi un effettivo inadempimento datoriale.
- Violazione dell’art. 2697 c.c. – errata ripartizione dell’onere della prova in merito alle violazioni di sicurezza accertate dall’ASL. La difesa contesta che la Corte d’Appello abbia invertito l’onere della prova: secondo la società, spettava al lavoratore dimostrare che non era stata impartita la formazione e informazione richieste, mentre la Corte avrebbe erroneamente gravato il datore di lavoro di tale onere. L’obiettivo della difesa è sostenere che le violazioni accertate dall’ASL non provassero automaticamente l’inadempimento datoriale in relazione al singolo lavoratore.
- Violazione dell’art. 1460 c.c. – il lavoratore avrebbe dovuto indicare le misure da adottare prima di rifiutare la prestazione. La difesa sostiene che, secondo l’art. 1460 c.c., il lavoratore non avrebbe potuto limitarsi a rifiutare la prestazione, ma avrebbe dovuto specificare quali misure di sicurezza riteneva necessarie per adempiere. Tale tesi si fonda sull’idea che il rifiuto non possa essere 'puro e semplice', ma debba essere accompagnato da una proposta di adempimento alternativo o condizionato. In questo modo la società tenta di qualificare il comportamento del lavoratore come eccessivo o strumentale, negando la proporzionalità richiesta dall’articolo.
- Violazione dell’art. 1460 c.c. e vizio di motivazione – trascurata la prova della non pericolosità del reparto B.
- Violazione dell’art. 2697 c.c. – omessa considerazione del rifiuto di presentarsi all’incontro con il direttore generale.
Giudizio di III grado e motivazioni (Corte di Cassazione)
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando integralmente la sentenza della Corte d’Appello.
Le principali motivazioni sono:
- Il primo motivo è inammissibile: il quesito di diritto non indicava i fatti specifici che avevano determinato il mutamento di mansioni.
- Gli altri motivi risultano infondati: la Corte territoriale aveva svolto una valutazione coerente, logica e giuridicamente corretta delle prove.
- Il rifiuto del lavoratore era legittimo poiché il datore non aveva adempiuto agli obblighi di informazione e formazione sui nuovi rischi (oggi artt. 36 e 37 D.Lgs. 81/2008).
- La Corte ha ribadito che il controllo di legittimità non consente una rivalutazione del merito, ma solo la verifica della coerenza logico-formale della sentenza impugnata.
Infine, la Cassazione ha ricordato che la giustificazione del rifiuto del lavoratore ai sensi dell’art. 1460 c.c. sussiste solo se esso è proporzionato e non strumentale, come nel caso in esame.Precedenti giurisprudenziali citati e massime/principi richiamati
La Corte richiama vari precedenti tra cui:
- Cass. 4743/1998 e Cass. 8880/2000 – sull’applicazione dell’art. 1460 c.c. e sul principio di proporzionalità tra inadempimenti contrapposti.
- Cass. 21479/2005 – sul dovere del lavoratore di segnalare preventivamente le misure necessarie a garantire la sicurezza.
- Cass. S.U. 5802/1998 – sui limiti del sindacato di legittimità della Cassazione.
Massima:
Il rifiuto del lavoratore di adempiere alla prestazione può essere giustificato ai sensi dell’art. 1460 c.c. quando il datore di lavoro non abbia adempiuto ai propri obblighi di formazione e informazione in materia di sicurezza, anche in caso di mutamento di postazione, pur senza formale mutamento di mansioni (oggi in forza degli artt. 36 e 37 del D.Lgs. 81/2008).In sintesi
La sentenza n. 1401/2012 conferma che il rifiuto del lavoratore è legittimo quando il datore non assicuri una formazione specifica sui nuovi rischi, in ossequio ai principi di prevenzione e tutela della salute (oggi D.Lgs. 81/2008, artt. 36 e 37, in combinato disposto con l’art. 2087 c.c.).
Il provvedimento assume rilevanza sistematica poiché consolida il principio per cui il dovere di sicurezza del datore di lavoro è condizione necessaria dell’obbligo di prestazione del lavoratore, e la sua violazione può rendere ingiustificato un licenziamento per insubordinazione.Sono presenti in giurisprudenza pronunce successive che confermano e rafforzano i principi richiamati nella sentenza in commento sui temi “cambio mansione”, formazione/informazione sui rischi e responsabilità del datore di lavoro. Eccone alcune con breve nota tecnica:
Alcuni precedenti rilevanti
Cass. 21 marzo 2012, n. 11112 (Sez. Penale) – la Corte afferma che l’obbligo del datore di lavoro di assicurare una formazione adeguata in materia di salute e sicurezza riguarda «tutte le singole mansioni che lo stesso [lavoratore] è chiamato a svolgere e tutti i rischi che può correre».
- In tale pronuncia si ribadisce che la pluralità delle mansioni richiede formazione specifica ad ogni cambiamento attivo o potenziale.
- Anche se è pronuncia penale, il principio è pienamente rilevante per lo scenario civile/contrattuale di cambio mansione.
Cass. 13 febbraio 2024, n. 6301 (Sez. Penale) – la Corte ha stabilito che la formazione dei lavoratori deve essere completata prima dell’adibizione alla mansione.
- Questo chiarisce che non basta assegnare la mansione: la formazione va fatta preventivamente, altrimenti il cambiamento diventa privo del presupposto della sicurezza.
Cass. 13209/2021 (Civile) – in un caso di cambio mansione/infortunio è stata contestata la mancata formazione e informazione adeguata per la nuova mansione.
- L’infortunio in quella vicenda è stato ricondotto anche alla mancata adeguazione formativa e informativa rispetto alla mansione cambiata, confermando il legame tra cambio mansione + rischio + obbligo datoriale.
Valutazione tecnica
Queste pronunce attestano che il principio secondo cui il datore di lavoro ha l’obbligo di informare e formare adeguatamente il lavoratore in caso di cambio di mansione è consolidato e attuale.
In particolar modo emerge che:
- Il cambio mansione implica spesso nuovi rischi, e quindi l’obbligo datoriale non può ritenersi esaurito con la formazione iniziale.
- La formazione/informazione deve essere specifica e adeguata al nuovo compito.
- Deve essere erogata prima dell’effettivo adempimento della nuova mansione.
- (!) A livello civile: pur trattandosi di pronunce penali o miste, il principio è traslato nell’ambito contrattuale/disciplinare e può essere invocato anche in sede di impugnazione di licenziamento o rifiuto della prestazione.
Ricordiamo che è sempre necessario verificare ciascuna pronuncia per il contesto fattuale (settore, tipo di mansione, tipologia di rischio) perché la giurisprudenza può richiedere condizioni particolari per estendere il principio (es. gravità del rischio, effettiva novità della mansione).Area Legale