La stiva della nave è spazio confinato?

29/03/2016

Rispondere alla domanda in modo chiaro e semplice non è sicuramente cosa facile: quello che faremo in queste poche righe è in primo luogo inquadrare ed analizzare la problematica legata all’identificazione degli “ambienti sospetti di inquinamento o confinati”, e solo di conseguenza provare ad arrivare ad una risposta.

A distanza di qualche anno dall’entrata in vigore del D.P.R 177/2011, è ancora molto esteso il dibattito su quali spazi possano essere considerati “ambiente sospetto di inquinamento o confinato”, con conseguenze evidenti nelle valutazioni che ne derivano (più o meno restrittive).

Partiamo però dalla definizione presente nell’ambito del decreto. Si legge testualmente: “il presente regolamento si applica ai lavori in ambienti sospetti di inquinamento di cui agli articoli 66 e 121 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e negli ambienti confinati di cui all’allegato IV, punto 3, del medesimo decreto legislativo …ovvero (art. 66) pozzi neri, fogne, camini, fosse, gallerie e in generale in ambienti e recipienti, condutture, caldaie e simili, ove sia possibile il rilascio di gas deleteri (art. 121), pozzi, fogne, cunicoli, camini e fossero in genere (all. IV), vasche, canalizzazioni, tubazioni, serbatoi, recipienti, silos e simili.”

Al di là degli spazi esplicitamente citati, per la classificazione degli altri luoghi di lavoro, molto spesso l’attenzione viene posta sulle caratteristiche geometriche di tali ambiti operativi (indicando come questi siano dotati di limitate vie di accesso o uscita): in accordo con quanto indicato nei Confined Spaces Programs (norme OSHA), parlando di geometria ambientale, si potrebbe far riferimento ad una o più delle seguenti condizioni:

  • Aperture con diametro minore di 60 cm;
  • Difficoltà di accesso indossando uno o più dispositivi di salvataggio;
  • Difficoltà di recupero di un lavoratore caduto a terra che si trova in posizione rannicchiata;
  • Passaggio dalla via di accesso/uscita reso difficoltoso dalla presenza di scale, paranchi, tubazioni in genere, ecc ...

E’ importante però considerare che le norme internazionali, più che a una rigida classificazione dei luoghi in base alle caratteristiche geometriche, pongono l’attenzione più in generale su tutte quelle condizioni che:

  • Possono esporre il lavoratore a una minaccia immediata per la sua vita o salute (IMMEDIATELY DANGEROUS TO LIFE OR HEALTH, IDLH);
  • Possono causare effetti negativi irreversibili sulla salute;
  • Possono interferire con la capacità di un individuo di fuggire in modo autonomo da uno spazio confinato soggetto a permesso d’ingresso.

A questo riguardo, usando come guida la normativa statunitense, che è una tra le più dettagliate sull’argomento, è opportuno evidenziare che le norme OSHA hanno oltre cinque definizioni diverse di Confined spaces, a seconda del contesto nel quale ci si trova a operare.

La definizione più generale, prevede che sia definito come confined space uno spazio in cui si può entrare completamente con il corpo e compiere un’operazione, che ha limitate vie di accesso o uscita, e che non è progettato per essere occupato in modo permanente.

La definizione però non si esaurisce qui, in quanto oltre all’indicazione geometrico/spaziale dell’ambiente, la normativa statunitense classifica i confined spaces anche in funzione del loro livello di pericolo, suddividendoli in tre classi:

Classe A= immediatamente pericolosi per la vita;

Classe B= pericolosi per la vita, ma non immediatamente;

Classe C= potenzialmente pericolosi per la vita.

Successivamente all’identificazione di un confined space secondo la definizione appena riportata, la norma prevede anche altre due possibili categorie:

  • Permit-required confined spaces (spazi confinati per i quali è necessario un permesso di accesso);
  • NON-Permit required confined spaces (spazi confinati per i quali non è necessario un permesso di accesso).

E’ inoltre interessante notare come nella normativa statunitense, sia sempre possibile (e talvolta consigliato) eseguire la riclassificazione dello spazio confinato in funzione dell’evoluzione delle lavorazioni e/o delle variazioni nelle condizioni di sicurezza che originariamente erano state verificate per definire l’iniziale classificazione dell’ambiente.

Appare quindi evidente come un’adeguata analisi per classificare un luogo di lavoro come spazio confinato abbia un cardine importante non solamente nel contesto geometrico o nella definizione del luogo (es. vasca...) ma anche (e forse, soprattutto) nell’individuazione dell’effettivo livello di rischio.

In riferimento dunque alla stiva della nave, in base alle caratteristiche evidenziate anche dalla normativa statunitense per una corretta identificazione di uno spazio confinato, si potrebbe dire che tale luogo di lavoro rientri nella categoria.

Per rispondere però in modo definitivo alla domanda del titolo, facendo riferimento alla legislazione italiana, ci viene in aiuto un interpello avanzato da Confindustria alla Commissione per gli Interpelli (Novembre 2015), al fine di conoscere il parere “in merito all’ambito di applicazione del DPR 177/2011 (in tema di qualificazione delle imprese operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati) con riferimento alle attività di manutenzione, riparazione e trasformazione navale”, come disciplinate dal D.Lgs. n. 272/99.

“A parere dell’Associazione istante”, si legge, “in conseguenza del fatto che l’articolo 1, comma 2, del DPR n. 177/2011 definisce il proprio campo di applicazione “in modo puntuale e circoscritto”, ne deriva che tale normativa si applica esclusivamente “ai lavori in ambienti sospetti di inquinamento di cui agli articoli 66 e 121 del decreto legislativo 9 Aprile 2008 n.81, e negli ambienti confinati di cui all’Allegato IV, punto 3, del medesimo decreto legislativo” e, di conseguenza, “non si applica alle diverse attività in ambito portuale”.

La Commissione conclude poi scrivendo che “fermo restando l’obbligo del datore di lavoro di garantire, durante le operazioni “di manutenzione, riparazione e trasformazione delle navi in ambito portuale”, tutte le misure necessarie a tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, in attesa della definizione di un complessivo sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, nonché dell’emanazione dei decreti di cui all’articolo 3, comma 2, del d. lgs n.81/2008, si esclude, in vigenza dell’attuale normativa, l’applicabilità del DPR n. 177/2011 nell’ambito delle lavorazioni disciplinate dal decreto legislativo 27 Luglio 1999, n.272”.

Se dal punto di vista legislativo italiano dunque, la stiva della nave ad oggi non è considerata spazio confinato, questa resta in ogni caso l’ambito di applicazione del D. Lgs n.272/99, che, all’articolo 1, lettera e) prevede l’obbligo di “adottare le misure di sicurezza in presenza di condizioni particolari di rischio”, tra cui anche i rischi di inquinamento dell’aria in locali a bordo delle navi, specificamente richiamati negli articoli 12, 13, 17, 25, 36, 46, 48 e 49 del medesimo decreto.

Risulta quindi evidente come, sebbene la stiva della nave non sia classificabile come spazio confinato (ai sensi del DPR n. 177/2011), è comunque obbligatorio valutarne sempre tutti i rischi ed adottare di conseguenza le misure necessarie a garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori operanti all’interno, nella logica implicita dell’individuazione dell’effettivo livello di rischio che è a fondamento della normativa statunitense sugli spazi confinati.


Area Sicurezza impianti e processi produttivi

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