L’applicazione delle direttive ATEX, comporta la valutazione dei rischi connessi con la possibile generazione di atmosfere esplosive in qualsiasi tipologia di ambiente di lavoro. Infatti, la possibilità di formazione di atmosfere esplosive, che vede in prima linea coinvolte le aziende classificate a rischio di incidente rilevante, può interessare pure qualsiasi altra attività produttiva in cui sono presenti sostanze infiammabili, anche in quantità insignificanti. Tale problematica rientra evidentemente nel campo della sicurezza nei luoghi di lavoro ed impone al datore di lavoro di effettuare, come per qualsiasi altra tipologia di rischio, una valutazione dei livelli di pericolo cui i lavoratori sono esposti, di attuare tutte le misure possibili per ridurne l’entità e, infine, di informare e formare i lavoratori sui rischi a cui sono esposti.
Le metodologie normalmente adottate per la valutazione dei rischi di esposizione ad atmosfere esplosive nei luoghi di lavoro, consistono per lo più in un approccio semi-quantitativo, che parte da un’analisi di tipo quantitativa finalizzata all’individuazione ed alla caratterizzazione delle zone classificate, ma che, dopo aver svolto una valutazione del tutto qualitativa delle potenziali sorgenti d’innesco, si chiude con una valutazione del rischio per i lavoratori molto approssimata, senza nemmeno aver fatto una stima della magnitudo del danno in caso di manifestazione dello scenario incidentale. Un approccio di questo tipo può indurre, il più delle volte anche in maniera inconsapevole, ad una sottostima dei rischi reali. Inoltre, nelle aziende a rischio di incidente rilevante, nonostante venga prestata particolare attenzione per evitare e controllare i rischi di incidenti di magnitudo significativamente maggiore, tale sottovalutazione può portare a conseguenze ancora più rilevanti. Di conseguenza, proprio sulla base dell’esperienza maturata all’interno di tali aziende, hanno preso forma nel corso degli anni diverse proposte di approcci “integrali” alla valutazione del rischio ATEX, in grado di garantire un’uniformità di azione e gestione dell’attività dal punto di vista della sicurezza, con una più corretta stima dei rischi per i lavoratori e delle conseguenze cui gli stessi possono essere sottoposti in caso di manifestazione dell’evento.
I motivi che inducono alla necessità di adottare un percorso di questo tipo, sono molteplici: per evitare di dilungarci troppo, riteniamo opportuno concentrare l’attenzione su quelli di maggior rilievo.
Già a partire dagli anni ’90, in cui è stata recepita la Direttiva 89/391/CE (direttiva quadro sulla SSL concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori), i luoghi con pericolo di esplosione hanno assunto particolare attenzione, tanto da richiedere l’attuazione di 2 Direttive particolari, la 99/92/CE e la 94/9/CE, (ora abrogata e sostituita dalla 2014/34/EU), con l’obiettivo di mettere in atto prescrizioni minime di sicurezza e modalità di certificazione cui devono conformarsi gli apparecchi ed i sistemi di protezione, destinati ad essere utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva.
Tra le principali novità introdotte dalle due direttive, vi sono indubbiamente i requisiti essenziali di sicurezza da attuare per i luoghi con pericolo di esplosione, sia per quelli a carico dei produttori delle apparecchiature destinate a tali luoghi (Dir. 2014/35/UE) che di quelli a carico dei datori di lavoro, ai fini della sicurezza e salute dei lavoratori (Dir. 99/92/CE): appare subito evidente, sulla base dei principi cui si fondano le 2 Direttive guida, come la valutazione complessiva dei luoghi con pericolo di esplosione, debba essere inevitabilmente frutto dell’integrazione degli obblighi imposti dalle due direttive e delle diverse sinergie dei vari specialisti del settore.
D’altra parte, anche l’art. 290 del D.Lgs. 81/08 (poi ripreso ed approfondito ulteriormente anche all’interno della regola tecnica verticale per le aree a rischio di esplosione del DM 03/08/15), recita che il Datore di lavoro deve valutare i rischi per i lavoratori derivanti da atmosfere esplosive, prendendo in considerazione tutti gli elementi rilevanti, tra cui, almeno:
- la probabilità e la durata della presenza di atmosfere esplosive;
- la probabilità che siano presenti e divengano efficaci fonti di accensione;
- le caratteristiche dell’impianto, le sostanze utilizzate, i processi e loro possibili interazioni;
- l’entità degli effetti prevedibili.
È proprio quindi a livello d’interfaccia tra l’attività di classificazione in zone (punto n°1 dell’iter di valutazione di cui sopra) e la valutazione del rischio d’esplosione per i lavoratori (obiettivo dell’iter di valutazione di cui sopra), che emerge in tutta la sua evidenza l’obbligo normativo di stima dell’entità del danno (punto n°4 dell’iter di valutazione di cui sopra).
La procedura di classificazione in zone, come proposta dalle pertinenti norme CEI EN, termina infatti con la stima della forma e delle dimensioni del volume esplosivo, nonchè della relativa probabilità di presenza. È noto tuttavia, che il danno a persone e cose, a seguito di un’esplosione, è strettamente correlato agli effetti della sovrappressione: se tali effetti non sono significativi (magnitudo del danno trascurabile), la zona si identifica come NE (Negligible Extent), di fatto non pericolosa (es. Zona 2NE). Di conseguenza, solamente in questi casi particolari, la valutazione del rischio d’esplosione può terminare con la definizione delle zone classificate. Nel caso invece di effetti di sovrapressione significativi, allo scopo di poter valutare l’impatto dell’esplosione sui lavoratori, diventa importante anche la conoscenza dell’area geometrica e dell’intensità (sovrapressione d’urto) con cui gli stessi si manifestano.
Emerge a questo punto con grande evidenza, l’importanza della fase di valutazione quantitativa della “distanza di danno”, come parte integrante di un percorso di valutazione del rischio di esplosioni in grado di rispondere ad entrambe le esigenze normative imposte dalle Direttive ATEX, recepite poi a livello nazionale dal D. Lgs. 81/08.
A tal proposito, per quanto riguarda la stima ed il calcolo della distanza di danno, ci si limita a menzionare che esistono numerosi approcci e metodologie (che spaziano dai metodi analitici di tipo semplificato fino ad arrivare ai più sofisticati medodi di calcolo numerico alle differenze finite), in grado di effettuare stime a diversi livelli di approssimazione della curva di sovrapressione in funzione della distanza dall’epicentro per varie tipologie di UVCE (Unconfined Vapour Cloud Explosion - si veda, a titolo esemplificativo, la figura riportata sotto che rappresenta la curva di sovrapressione di una UVCE in funzione della distanza scalata).
A questo punto, è bene tuttavia precisare che la necessità di adottare un approccio “integrale” alla valutazione del rischio di esplosione, oltre che essere dettata da un’esigenza derivante da un obbligo normativo cogente, risulta ancora più importante per capire certe differenze sostanziali nel comportamento di talune miscele infiammabili che, nell’ottica di un loro utilizzo all’interno dell’approccio “tradizionale”, tendono erroneamente ad essere assimilate in termini di entità di rischio, con evidenti ripercussioni a livello di stima delle conseguenze per i lavoratori.
Per riuscire ad esplicitare meglio tale concetto consideriamo, ad esempio, il gas naturale (GN) ed il gas di petrolio liquefatto (GPL), 2 sostanze molto diffuse sia negli ambienti di lavoro che in quelli domestici. Partendo dal presupposto che esse vengono utilizzate per scopi analoghi (alimentazione di impianti di riscaldamento), ne scaturisce spesso una tendenza erronea ad assimilarle anche in termini di rischio. Non è però sempre così, dato che le due miscele possiedono sia origini tecnologiche differenti, che utilizzi ulteriori rispetto alla loro semplice combustione. Partiamo quindi con una loro caratterizzazione in termini di rischio di esplosione e, per fare questo, risulta indispensabile passare attraverso un confronto dei principali parametri di infiammabilità ed esplosione dei loro costituenti fondamentali:
- il metano (CH4) per il GN;
- il propano (C3H8) per il GPL.
L’indicatore che maggiormente caratterizza i due gas da un punto di vista chimico-fisico è indubbiamente il potere calorifico inferiore (PCI): da questo punto di vista, metano e propano possiedono caratteristiche del tutto analoghe, con valori che si aggirano intorno ai 50,0 MJ/kg. Ciò che li differenzia, sono sostanzialmente le modalità di stoccaggio, che determinano una capacità volumetrica di trasporto di energia radicalmente modificata rispetto allo stesso parametro rapportato alla massa (9 GJ/m3 per il CNG ad una pressione di ≈ 240 barg, contro i 25 GJ/m3 per il GPL, a pressioni comprese nell’intervallo [5÷7] barg).
Le modalità di stoccaggio, nella composizione dello scenario di valutazione del rischio esplosione, vengono quindi ad avere forti ripercussioni anche sulla natura dei rilasci delle sostanze in caso di perdite: la tipologia di rilascio da un contenimento di CGN, risulta sempre indipendente dalla collocazione della sorgente di emissione sulla membratura del contenimento (si genera sempre un rilascio jet di gas infiammabile ad alta pressione); nel caso di GPL, lo scenario incidentale dipenderà invece dalla posizione della sorgente in relazione al battente di liquido (in caso di guasto al di sotto del battente di liquido, si viene ad avere un rilascio di liquido in ebollizione con formazione di pozza al suolo che risulta, peraltro, molto più stabile nel caso del GNL rispetto al GPL: la liquefazione criogenica garantisce infatti condizioni di equilibrio termodinamico maggiori rispetto alla liquefazione per pressione - si faccia riferimento, a tal proposito, al diagramma riportato sotto).
Anche le velocità di combustione laminare delle due sostanze indagate (che si aggira attorno ai 45 cm/s) risultano molto simili, con un valore di poco superiore per il propano che non conduce, di per sé, a particolari aggravi di pericolosità (si vedano grafici riportati sotto in cui vengono mostrati rispettivamente gli andamenti della velocità di combustione laminare e del fattore di espansione, in rapporto alla concentrazione).
Nemmeno per quanto riguarda la pressione massima di esplosione non si rilevano differenze significative: il propano, contraddistinto da una temperatura adiabatica di fiamma lievemente superiore a quella del metano, è caratterizzato da un PMAX che supera solamente di poche centinaia di mbar quello del metano.
Una prima divergenza sostanziale sulle proprietà chimico-fisiche delle 2 sostanze emerge invece da un confronto diretto dell’estensione del campo di esplosione del metano che, rispetto al propano, per quanto riguarda il limite inferiore, si discosta di quasi tre punti percentuali:
- LEL,UEL (CH4) = 4,4÷17%(vol);
- LEL,UEL (C3H8) = 1,7÷10,9%(vol).
Questa caratteristica peculiare, conseguenza diretta della maggior capacità di diffusione del gas metano rispetto al propano, viene ad essere pressochè completamente trascurata, per effetto della compensazione con la massa molare, nel percorso di definizione delle zone classificate proposto nelle attuali norme CEI EN, con evidenti distorsioni significative nella definizione e nella caratterizzazione delle aree pericolose a rischio di esplosione.
Per sopperire a questa “lacuna” derivante dall’applicazione di un metodo di classificazione che, in determinate condizioni, risulta essere talvolta “improprio”, può esserci di notevole aiuto, anche in questo caso, l’adozione di un percorso “integrale” di valutazione del rischio di esplosione, in grado di effettuare una stima della magnitudo del danno e di tener conto, di conseguenza, del maggior numero possibile di parametri di esplosione che influiscono nella valutazione complessiva del rischio.
Ed è proprio andando a considerare la costante specifica di esplosione (Kg), espressione della velocità di incremento della pressione a seguito di innesco della nube pericolosa, che si interviene, con il processo integrale di valutazione del rischio, alla compensazione della distorsione di valutazione introdotta a livello di classificazione delle zone.
Il propano possiede infatti una velocità di incremento pressorio doppia rispetto al metano:
- Kg,(CH4) = 55 bar m/s;
- Kg,(C3H8) = 100 bar m/s.
Tale differenza si traduce in una violenza attesa dell’esplosione molto maggiore nel caso del GPL rispetto al GN: a parità, quindi, di area delle superfici di sfogo (es. aperture in un locale chiuso), il propano è in grado di produrre una pressione di esplosione ridotta (Pred,max) molto maggiore rispetto a quella generata dal gas naturale. L’esplosione di GPL originata in un locale chiuso, trova infatti maggiori difficoltà allo sfogo rispetto alla deflagrazione di gas naturale (che avrà luogo, verosimilmente, affacciata alle vetrature).
La maggior “maturazione” dell’esplosione all’interno del locale deve risultare quindi un fattore aggravante, in termini di magnitudo del danno, nel GPL rispetto al gas naturale di cui si deve tener conto per poter arrivare ad una valutazione in grado di soppesare opportunamente i differenti fattori di rischio, stimandone anche le diverse conseguenze.
Di tale notevole divergenza di comportamento, se ne può tener conto, per esempio, ricorrendo all’applicazione di un metodo di simulazione degli effetti dell’esplosione in ambiente non confinato (UVCE) denominato BakerStrehlow-Tang: con questa metodologia di valutazione, si è in grado infatti di introdurre, anche in termini quantitativi, una logica e coerente distinzione tra la bassa reattività del metano (posizionato in classe III), rispetto alla moderata reattività del propano (posizionato in classe II).
Ma questo non è che uno degli infiniti esempi che si possono fare per mettere in rilievo le peculiarità e per dimostrare il ruolo fondamentale che viene ad avere un approccio di tipo integrale nella valutazione del rischio di esplosione, in un’ottica volta al raggiungimento di un’analisi dei pericoli in grado di stimare il livello di rischio nella maniera più realistica possibile, di effettuare un’indagine che possa essere la più oggettiva possibile e che, di conseguenza, risulti essere capace di definire e di selezionare le misure di prevenzione e di protezione più efficaci per una effettiva riduzione dei rischi al loro livello residuo.
Area Sicurezza impianti e processi produttivi