Molestie negli ambienti di lavoro

02/10/2023

Lessico giuridico: molestie negli ambienti di lavoro.
 
L'art. 26 del D.Lgs. n. 198/2006 (il “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna”, elaborato a norma dell'articolo 6 della Legge 28 novembre 2005, n. 246) tratta le molestie negli ambienti di lavoro considerandole quali comportamenti discriminatori e indesiderati, posti in essere per ragioni connesse non necessariamente al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
 
Le accezioni che configurano il reato di molestie, come dunque si può notare da tale definizione, sono numerose e poggiano tutte sull’atteggiamento assunto dall’offendente o dal suo comportamento che viene percepito dalla vittima come aggressivo, vessatorio, degradante, discriminatorio e intimidatorio.
 
Il carattere comunque indesiderato della condotta, pur senza che ad essa conseguano effettive aggressioni fisiche o a contenuto sessuale, risulta integrativo del concetto e della nozione di molestia, essendo questa e la conseguente tutela accordata, fondata sulla oggettività del comportamento tenuto e dell'effetto prodotto, non avendo rilievo l’effettiva volontà di recare una offesa.
 
Nel caso trattato in una recente sentenza del luglio 2023 della Corte di Cassazione Civile, viene discusso l’atteggiamento posto in essere da un dipendente di un esercizio commerciale nei confronti di una giovane collega neoassunta, verso la quale aveva rivolto in più occasioni apprezzamenti e atteggiamenti non desiderati. Tale comportamento denunciato aveva determinato il licenziamento del soggetto, a nulla valendo a scopo difensivo il richiamo ad un comune e diffuso clima goliardico invalso nel tempo tra i dipendenti del locale e la non intenzione di arrecare offesa (cfr. Cassazione Civile, Sez. Lav., 31 luglio 2023, n. 23295).
 
In ambito lavorativo quando invece emerge che la molestia è frutto della volontà determinata del soggetto di condizionare o assoggettare la propria vittima attraverso comportamenti intimidatori o discriminatori, è nullo qualsiasi eventuale e conseguente atto, patto o provvedimento concernente il rapporto di lavoro ai danni della vittima adottato dal Datore di Lavoro o Dirigente in conseguenza del rifiuto o della sottomissione a comportamenti vessatori.
 
Allo stesso modo nell’ipotesi in cui la lavoratrice o il lavoratore oggetto di discriminazione agisse in giudizio per molestia o molestia sessuale contro il proprio Datore di Lavoro, Dirigente, Preposto o collega, a seguito di pronuncia di condanna da parte del magistrato nei confronti del reo, la vittima non potrà subire conseguenze determinate dalla denuncia stessa, quali sanzioni disciplinari, demansionamento, licenziamento, trasferimento o altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti sulle sue condizioni di lavoro.
 
Sarà pertanto considerato nullo il licenziamento ritorsivo o discriminatorio nei confronti del soggetto denunciante. Nulli saranno anche considerati provvedimenti discriminatori legati al mutamento di mansioni o altre misure ritorsive di qualsivoglia natura (es. permessi o ferie negate, differenze retributive, benefit esigibili non accordati, trasferimenti ad altre sedi ecc.).
 
Si ricorda infine che i datori di lavoro sono tenuti, ai sensi dell'articolo 2087 del Codice Civile, ad assicurare condizioni di lavoro tali da garantire l'integrità fisica e morale e la dignità dei lavoratori, anche concordando con le organizzazioni sindacali dei lavoratori le iniziative, di natura informativa e formativa, più opportune al fine di prevenire il fenomeno delle molestie nei luoghi di lavoro e rimuovere ogni altra forma di forma di discriminazione, in particolare per cause direttamente o indirettamente fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, le disabilità, l'età e l'orientamento sessuale.
 
Area Legale
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