Procura institoria e responsabilità

16/01/2023

Procura institoria e responsabilità
 
La Corte di Cassazione in Sez. 4, con sentenza 30 dicembre 2022 n. 49650, si è pronunciata circa la responsabilità di un Direttore Tecnico con procura institoria, in relazione ad un infortunio occorso ad un lavoratore addetto alla marcatura di un gruppo di tubi.
Prima di affrontare l’approfondimento della vicenda in sede processuale è utile premettere chi è un soggetto provvisto di “procura institoria”.
 
L'institore è un soggetto che può essere legato al Datore di Lavoro da un rapporto subordinato o autonomo e che viene normalmente posto a CAPO DELL'IMPRESA o di un ramo della stessa o di una sede secondaria, anche allo scopo di rivestire funzioni tecniche. Di fatto è un ausiliario dell’imprenditore con funzioni direttive la cui disciplina giuridica è contenuta nel libro V del Codice Civile dall’articolo 2203 all’articolo 2208 e che di solito viene identificato con il titolo di Direttore Generale, Rappresentante Generale, Direttore Tecnico, Direttore di filiale ecc.
 
Si può considerare una sorta di alter ego dell’imprenditore perché è dotato di autonomia gestionale rispetto al ramo di impresa che gli è stato assegnato tramite "procura institoria".
 
Ha un importante potere di rappresentanza sostanziale, dal momento che può compiere atti in nome e per conto dell’imprenditore nell’esercizio dell’attività d’impresa, salvo vincoli particolari che devono essere riportati nell’atto di procura. La procura, con sottoscrizione del preponente autenticata, deve essere depositata per l'iscrizione presso il competente Ufficio del Registro delle imprese, in modo tale che possa essere nota e opponibile a terzi.
 
Grava inoltre sull’institore un obbligo di correttezza e trasparenza nei rapporti con terzi ai quali deve sempre far presente che egli non è l’effettivo titolare del rapporto giuridico spendendo pertanto il nome dell’azienda in sede di trattazione degli affari.
 
L'institore può inoltre stare in giudizio in nome del preponente per le obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell'esercizio dell'impresa a cui è preposto.
 
I giudizi di I e II grado
 
Nella vicenda in richiamo, nel corso del giudizio di I grado presso il Tribunale di Brescia era stata disposta la condanna di F.G. in qualità di Direttore Tecnico con procura institoria, ritenuto responsabile del reato di lesioni gravi colpose di cui all'art. 590 comma 1 e 3 del c.p., in relazione con l'art. 583 c.p. (circostanze aggravati dalla natura della lesione subita dalla vittima), per violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, con previsione di condanna a 30 gg di reclusione, sostituita con pena di 7500 euro di multa.
 
L'infortunio di cui al procedimento aveva interessato un lavoratore adibito alla marcatura di tubi presso una azienda industriale di laminazione e trafilatura di metalli e si era concretizzato nell'amputazione della falange distale del IV dito ed amputazione delle falangi intermedia e distale del V dito della mano destra, giudicate guaribili in 150 giorni con invalidità permanente valutata dall'INAIL nella misura dell'8%. L'infortunio sarebbe occorso per mancata protezione dei rulli traenti all'imbocco della macchina marcatrice per tubi.
 
La colpa ascritta al Direttore Tecnico sarebbe consistita in negligenza, imprudenza, imperizia nonché nell'inosservanza di norme preposte alla prevenzione degli infortuni sul lavoro.
 
Inizialmente era stato imputato anche il DdL, G.P., ai sensi dell'art. 28 comma 2 lettera a) D.lgs. 81/2008 in relazione all'art. 17 comma 1 lettera a) per incompletezza del DVR, perchè non erano stati trattati i rischi relativi alla marcatrice. Inoltre, nonostante la valutazione dei rischi e la relativa elaborazione del DVR non fossero delegabili, il documento di valutazione riportava la firma di F.G. in forza della procura institoria.
Contestata inoltre la mancata vigilanza sul Delegato ai sensi dell'art. 16 comma 3 D.lgs. 81/2008 circa il corretto svolgimento delle funzioni trasferitegli, in assenza di Modello Organizzativo ex D.Lgs. 231/01.
 
F.G. era stato imputato ai sensi dell'art. 71 comma 1 D.lgs. 81/2008 in relazione all'art. 70 comma 2 D.lgs. 81/08 punto 5.6.1 dell'allegato V parte II in quanto, metteva a disposizione del lavoratore una marcatrice inidonea sotto il profilo della sicurezza del lavoro che richiedeva che l'addetto guidasse manualmente i tubi fra i rulli di lavorazione in assenza di protezioni idonee ad impedire la presa e lo schiacciamento delle dita per l’addetto.
 
In II grado di giudizio la Corte di Appello di Brescia aveva confermato la sentenza impugnata.
 
Ricorso in Cassazione
 
Avverso tale provvedimento F.G. propone ricorso per Cassazione.
 
Con il primo motivo il ricorrente deduce difetto di motivazione e travisamento delle prove assunte in dibattimento in quanto la Corte di Appello aveva ritenuto che all'epoca dell'infortunio vigesse una prassi aziendale di tolleranza a fronte dell'utilizzo scorretto del macchinario, mentre sarebbe stato lo stesso infortunato ad inserire un tassello di legno sul pedale di azionamento per garantire il funzionamento in continuo della macchina.
 
Il pedale, in caso contrario, avrebbe necessitato di azione mantenuta per l’azionamento dei rulli traenti all’imbocco dell’alimentazione.
 
La difesa inoltre sostiene che l'azienda mai aveva tollerato o avallato condotte negligenti del personale e anzi erano nel caso previsti interventi sanzionatori e di richiamo. Un operatore chiamato a testimoniare dichiarava che la macchina poteva essere azionata solo mantenendo premuto il pedale di azionamento, da posizionarsi alla distanza di 1,5 m dalla macchina, proprio per impedire il raggiungimento dei rulli traenti all'imbocco.
 
Con il secondo motivo, si deduce inosservanza della legge penale nel rappresentare la sussistenza di una posizione di garanzia in capo al ricorrente rispetto ad eventi imprevedibili, quali la condotta della persona offesa che si sarebbe procurata autonomamente il tassello in legno per bloccare la marcatrice.
 
Con il terzo motivo si lamenta mancanza e manifesta contraddittorietà della motivazione in relazione ai fatti riportati dalla persona offesa, le cui dichiarazioni sarebbero state "interpretate" erroneamente vista la mancata conoscenza della lingua italiana e in assenza di traduttore qualificato in aula; inoltre le sommarie informazioni testimoniali raccolte nell'immediatezza del fatto non sarebbero state verbalizzate in modo genuino.
A riprova il fatto che in sede giudiziale era risultato impossibile raccogliere le deposizioni della vittima, vista l’incapacità di intendere la lingua italiana.
 
Con il quarto motivo, si deduce vizio di motivazione con riguardo al mancato riconoscimento della circostanza attenuante a fronte del risarcimento del danno di cui all'art. 62 n. 6 c.p. avvenuta prima dell'apertura del dibattimento.
 
La pronuncia della Corte di Cassazione

 
La Corte di Cassazione prende atto dell'intervenuta prescrizione del reato (a distanza di sette anni e mezzo dall’infortunio) e pertanto annulla senza rinvio la sentenza impugnata per l'estinzione del reato.
 
Completa tuttavia il giudizio di legittimità rimarcando che i motivi del ricorso risultavano in ogni caso inammissibili per la loro manifesta infondatezza a parte il quarto, relativo al necessario riconoscimento della circostanza attenuante a fronte del risarcimento del danno.
 
I giudici di merito, in sostanza e in modo coerente e provato nei precedenti gradi del procedimento, avevano contestato correttamente la non conformità della macchina in dotazione, priva di protezioni idonee ad evitare l'introduzione delle dita dell’operatore.
Inoltre le protezioni venivano periodicamente rimosse e poste a terra e non erano mai state dotate dei necessari dispositivi di blocco, pur in presenza di rischio di presa e schiacciamento per le dita dell'addetto.
 
Rispetto ai rischi presenti sulla macchina non conforme e a prassi scorrette e frequenti di lavoro l’azienda non si era mai attivata e anzi aveva colpevolmente tollerato tali situazioni.
 
Area Legale
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