Sent. Cass. Pen. Sez. IV, 3 marzo 2016, n. 8883 – Assoluzione di Ddl ed RSPP
27/11/2023
Si tratta di una sentenza di Cassazione non recente ma sicuramente paradigmatica perché assolutoria per Amministratore Unico/Datore di Lavoro ed RSPP, inizialmente indagati per lesioni gravi a seguito di infortunio occorso a manutentore elettrico esperto.
Il caso, trattato inizialmente di fronte al Tribunale di Rieti, ha riguardato un infortunio occorso a manutentore elettrico esperto della ditta S.A. srl, con 5 anni di esperienza continuativa in lavori in quota, precipitato da un’altezza di circa 6 metri a seguito di pedinamento dell’estradosso di una copertura in fibrocemento (eternit) che non reggeva il suo peso. La caduta gli procurava un trauma con malattia superiore a 40 gg.
La pronuncia assolutoria in I grado nei confronti dei due convenuti, rispettivamente DdL ed RSPP della ditta S.A. srl, (con motivazione perché il fatto non sussiste) veniva ribaltata dalla sentenza di II grado di fronte alla Corte di Appello di Roma, appellata dalla parte civile.
I reati contestati quelli di cui agli artt. 113 (Cooperazione nel delitto colposo) e 590 (Lesioni personali colpose) commi 1 e 2 c.p. per omessa predisposizione dei necessari apprestamenti di sicurezza prima dell’accesso al piano di copertura di un capannone della ditta committente SDI I. srl, per lavori di posa di linee elettriche di alimentazione fari.
Avverso a tale sentenza di condanna da parte della Corte d’Appello viene fatto ricorso in Cassazione da parte di Ddl ed RSPP invocando in sostanza, e in modo congiunto, travisamento di fatti e prove da parte del giudice di II grado con una incongrua ricostruzione dell’evento e una iniqua attribuzione di responsabilità.
Tutte le cautele per l’esecuzione lavori erano state, secondo la difesa, correttamente assunte e la valutazione del rischio per l’effettuazione dei lavori in quota era stata elaborata in maniera completa dall’RSPP che inoltre, insieme al tecnico incaricato poi rimasto vittima della precipitazione, aveva effettuato preventivamente all’avvio dei lavori un sopralluogo congiunto per concordare le modalità di esecuzione.
A fronte delle istruzioni impartite, tuttavia, il lavoratore aveva posto in essere un comportamento palesemente abnorme. Si era infatti inizialmente concordato che i lavori di posa della linea di alimentazione e dei fari potessero essere eseguiti rimanendo a bordo di una PLE, messa a disposizione della ditta committente e condotta da parte di lavoratore abilitato.
Non si era mai ipotizzato in fase preliminare ai lavori che il lavoro dovesse essere effettuato con accesso alla copertura cedevole.
I ricorrenti, a mezzo del proprio difensore, ripercorrono la vicenda ribadendo di aver concertato, anche attraverso il supporto di prove testimoniali, corrette istruzioni esecutive e confidato nell’esperienza e nella professionalità del lavoratore esperto (anche RLS), a cui avevano affidato attrezzature adeguate.
La sentenza impugnata avrebbe completamente disatteso tutte le circostanze emerse nell’approfondita istruttoria dibattimentale compiuta in I grado.
La causa dell’infortunio era dunque da imputare esclusivamente al comportamento negligente, avventato, imprudente e abnorme del lavoratore rimasto vittima dell’infortunio.
Inoltre nel corso del procedimento non sarebbe mai emersa la circostanza della conoscenza da parte degli imputati della volontà del lavoratore di accedere mediante pedinamento del tetto in eternit, ritenuto peraltro non necessario ai fini della esecuzione dello specifico lavoro dallo stesso tecnico del servizio di prevenzione dell’ASL intervenuto per la ricostruzione dell’evento.
Per la corte di Cassazione tutte le doglianze illustrate sono fondate emergendo la palese insussistenza dell’elemento psicologico in capo agli imputati.
Viene inoltre stigmatizzato che la radicale riforma di una sentenza di assoluzione di I grado non può fondarsi su valutazioni diverse dallo stesso compendio di prove, formulate anche con minore razionalità e plausibilità rispetto a quanto emerso nel precedente grado di giudizio, ma deve poggiare su “elementi dotati di effettiva e scardinante efficacia persuasiva” in grado di vanificare ogni ragionevole dubbio.
La dinamica dell’incidente appare dunque incontestata avendo attuato il lavoratore un modo di esecuzione dell’intervento richiesto imprevisto ed imprevedibile.
Nel caso di specie nessun rimprovero può muoversi ai ricorrenti in quanto tutte le cautele possibili all’atto di programmazione lavori erano state assunte.
La Corte di legittimità ricorda inoltre come il sistema della normativa prevenzionistica si sia lentamente trasformato da modello “iperprotettivo” interamente incentrato sulla figura del Datore di Lavoro, quale soggetto garante obbligato alla vigilanza assoluta sui lavoratori ad un modello “collaborativo” in cui vengono esigiti gli obblighi degli altri attori della prevenzione, tra cui i lavoratori, con valorizzazione del principio di “autoresponsabilita” che impone un agire informato a diligenza, prudenza e perizia.
Compito dell’imprenditore è dunque quello di mappare le aree di rischio e documentarle nel DVR. Rispetto a tali aree di rischio la giurisprudenza ha individuato criteri per stabilire se la condotta del lavoratore dovesse appartenere o essere estranea al processo produttivo ed essere legata alle specifiche mansioni di competenza.
Da tali approfondimenti sono stati sempre meglio definiti i concetti di “comportamento esorbitante” e di “comportamento abnorme”, che la sentenza in esame richiama.
Per “comportamento esorbitante” si deve dunque intendere quello che riguarda condotte che fuoriescono dall’ambito delle mansioni, ordini, disposizioni impartiti dal DdL o di chi ne fa le veci nell’ambito del contesto lavorativo.
Per “comportamento abnorme” invece ci si riferisce a condotte poste in essere in maniera imprevedibile dal prestatore di lavoro fuori dal contesto lavorativo, quindi assolutamente non attinenti con l’attività svolta.
La Corte chiude la sentenza richiamando espressamente il principio secondo cui il DdL “non ha più, dunque, un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore, come in passato, ma una volta che ha fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, egli non risponderà dell'evento derivante da una condotta imprevedibilmente colposa del lavoratore”.
In base a tale principio espresso entrambi gli imputati vengono mandati assolti dal reato ascritto perché il fatto non costituisce reato e la sentenza appellata viene annullata senza rinvio.
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