Sent. Cass. Penale, Sez 4, 17 marzo 2025, n 10460 - Prassi operativa scorretta imposta dall'alto

23/06/2025

La sentenza di Cassazione e il contesto della vicenda

La Sentenza della Corte Suprema di Cassazione – Sezione Quarta Penale n. 10460 del 17 marzo 2025 si esprime in materia di responsabilità datoriale e preposizionale in presenza di prassi operative consolidate ma difformi dalle norme di sicurezza che hanno determinato un grave infortunio ad un apprendista.

L’infortunio è avvenuto all’interno di uno stabilimento industriale del settore chimico-farmaceutico, appartenente alla società ACS Dobfar S.p.A., e precisamente nell’unità locale denominata ACSD8, nel reparto di produzione sterile.

Si trattava quindi di un ambiente produttivo con elevati standard di controllo e igiene, il che rende ancora più rilevante l’anomalia rappresentata dalla prassi operativa scorretta riscontrata nel caso di specie (lavaggio manuale del filtro essiccatore con sensore di sicurezza disattivato e macchina in funzione).

La Corte riafferma il ruolo centrale della posizione di garanzia effettiva, chiarisce i limiti del comportamento abnorme del lavoratore e sottolinea che l’omessa vigilanza, anche se motivata da gerarchie aziendali, non esonera dalla responsabilità in caso di infortunio.

Soggetti coinvolti, questioni trattate e capi di imputazione

Imputati:
A.A. (dirigente) – Manager del reparto di produzione sterile dello stabilimento ACSD8
B.B. (caporeparto) – Responsabile operativo del reparto
C.C. (capoturno) – Supervisore di turno
D.D. (vice capoturno) – Addetto al coordinamento esecutivo
 
Persona offesa:
G.G. (apprendista-operaio) – Vittima dell’infortunio, addetto alla pulizia del filtro essiccatore
 
Reati contestati:
Art. 113 c.p. – Cooperazione nel delitto colposo
Art. 590, commi 2 e 3, c.p. – Lesioni personali gravi o gravissime colpose
Art. 583, comma 2 n. 3 c.p. – Aggravante per perdita di un arto
Art. 2087 c.c. – Obbligo generale di tutela delle condizioni di sicurezza del lavoratore
Art. 18, comma 1, lett. f) e art. 55 D.Lgs. 81/2008 – Obblighi del datore di lavoro e del dirigente in materia di vigilanza sull’osservanza delle disposizioni aziendali
Art. 19, comma 1, lett. a) e art. 56 D.Lgs. 81/2008 – Obblighi del preposto di vigilare sull’attuazione delle misure di prevenzione

Esposizione dei fatti

L’infortunio avvenne durante una fase di pulizia del macchinario filtro essiccatore MD1, utilizzato nello stabilimento ACSD8. La prassi operativa, consolidata ma non codificata formalmente nei protocolli, prevedeva un’operazione di lavaggio supplementare che si eseguiva a boccaporto aperto, disattivando il sensore di sicurezza mediante l’applicazione di un bullone nastrato.

Il lavoratore G.G. (apprendista-operaio), seguendo tale prassi insieme ai colleghi H.H. e J.J., dopo aver attivato la rotazione delle pale tramite il pannello di controllo touch screen, inseriva il braccio sinistro nel macchinario, subendo l’amputazione a causa dell’impatto con la pala in movimento.

Responsabilità contestate nel dettaglio

A.A. (dirigente)
Accusato di avere tollerato, se non istituito, la prassi pericolosa di disattivazione del sensore, omettendo il dovere di vigilanza previsto dall’art. 18, co. 1, lett. f) D.Lgs. 81/2008. Il ruolo apicale e la funzione di “training on the job” lo ponevano in posizione di garanzia.
B.B. (caporeparto), C.C. (capoturno), D.D. (vice capoturno).

Accusati di non avere vigilato sull’adozione di condotte conformi alle norme antinfortunistiche, nonostante la consapevolezza della prassi irregolare in atto. A loro carico veniva contestata la violazione dell’obbligo di vigilanza ex art. 19, co. 1, lett. a) D.Lgs. 81/08, oltre che l’omessa segnalazione della prassi ai superiori.

Giudizio di primo grado (Tribunale di Lodi)

Il Tribunale di Lodi, con sentenza del 4 maggio 2023:
 
  • assolse due coimputati per insussistenza del fatto,
  • condannò gli altri quattro imputati, rilevando che la prassi pericolosa fosse ben conosciuta e tollerata all’interno dello stabilimento,
  • evidenziò come tale modalità di lavaggio eludesse in modo sistematico i presidi di sicurezza previsti dal costruttore e dalle norme vigenti.
Il giudice ritenne integrata la cooperazione colposa fra i responsabili a vario titolo, nonché la violazione delle regole cautelari, ravvisando il nesso eziologico tra le condotte omissive e l’evento dannoso.

Giudizio di secondo grado (Corte d’Appello di Milano)

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 15 maggio 2024, confermò integralmente il verdetto di primo grado, argomentando che:
 
  • la prassi di lavaggio manuale a boccaporto aperto fosse quotidiana, strutturale e nota ai dirigenti,
  • l’elusione del sensore rappresentasse una manipolazione intenzionale del dispositivo di sicurezza,
  • anche in assenza di una formalizzazione scritta della procedura, la sua costante esecuzione, visibilità e tolleranza da parte dei soggetti apicali ne dimostrava la consolidazione e la consapevolezza dirigenziale, sufficiente a fondare la responsabilità penale,
  • la condotta del lavoratore, pur imprudente, non esonerava i garanti, poiché si inseriva nel contesto di una prassi non impedita.

Motivi del ricorso in Cassazione

A.A. (dirigente)
 
  • Travisamento della prova: si contesta la ricostruzione dei fatti secondo cui il lavoratore avrebbe creduto che le pale fossero spente.
  • Mancanza di consapevolezza della prassi pericolosa: egli dichiarava di conoscere unicamente una modalità di pulizia manuale a macchina ferma, senza manomissioni.
  • Vizi motivazionali: la Corte d’Appello avrebbe travisato l’interrogatorio e sopravvalutato testimonianze di soggetti (N.N. e M.M.) ritenuti “rancorosi”.
  • Erronea esclusione delle attenuanti generiche (art. 62-bis c.p.), a fronte della sua incensuratezza e collaborazione con ATS.
B.B. (caporeparto), C.C. (capoturno), D.D. (vice capoturno)
 
  • Assenza di posizione di garanzia effettiva: si invoca il principio di effettività ex art. 299 D.Lgs. 81/08, rilevando come D.D. (vice capoturno) non avesse responsabilità di vigilanza altrui.
  • Comportamento abnorme del lavoratore: si sostiene che l’infortunio sia dipeso dall’inserimento volontario del braccio con le pale in movimento, evento eccentrico e non prevedibile, ai sensi dell’art. 41, co. 2 c.p..
  • Violazione dell’art. 522 c.p.p.: la motivazione estenderebbe gli obblighi di segnalazione oltre quanto indicato nel capo d’imputazione (a “figure superiori” e non solo ai “superiori diretti”).
  • Critica alla motivazione sul nesso causale: si ritiene che, anche se i preposti avessero segnalato, l’evento non sarebbe stato evitato.
Quest’ultimo punto è importante e merita un approfondimento.
Nel caso in esame, i preposti sostenevano che:
“Anche se avessero segnalato ai superiori la prassi illecita di disattivazione del sensore, la segnalazione non avrebbe prodotto effetti concreti tali da impedire l’infortunio.”
Questa affermazione si fonda sull’idea che:
 
  • la prassi era consolidata, nota e strutturale all’interno del reparto;
  • la sua origine o tolleranza proveniva da livelli gerarchici più alti (cioè da A.A., dirigente);
  • dunque, una mera segnalazione verso l’alto (verso lo stesso soggetto che avrebbe avallato la prassi) sarebbe stata inefficace a modificare la situazione concreta.
In sostanza, i preposti argomentano che il comportamento illecito faceva parte di una prassi aziendale “imposta dall’alto” o comunque accettata tacitamente, e che quindi non vi sarebbe stato alcun effetto causale utile da un loro intervento, essendo le condizioni di rischio già “normalizzate”.

Giudizio di terzo grado (Corte di Cassazione)

La Cassazione rigetta tutti i ricorsi, confermando le sentenze di merito.
Le motivazioni si articolano su vari livelli:
 
1. Posizione di garanzia e principio di effettività
La Corte richiama l’art. 299 D.Lgs. 81/08, affermando che la posizione di garanzia discende dall’attività concretamente esercitata, e non solo dalla carica formale. Pertanto, anche D.D. (vice capoturno), se pur in posizione subordinata, doveva vigilare sull’applicazione delle misure di sicurezza.

2. Nesso causale e condotta del lavoratore
La Suprema Corte esclude che l’evento possa essere attribuito ad un comportamento abnorme, ritenendo invece che esso sia la naturale conseguenza di una prassi aziendale deviata. L’inserimento del braccio – pur pericoloso – avviene nell’ambito delle mansioni assegnate e in presenza di una modalità consolidata non impedita dai preposti.

3. Travisamento della prova
La Corte ritiene infondate le doglianze di A.A. (dirigente), in quanto le risultanze testimoniali e documentali confermerebbero la sua consapevolezza della prassi irregolare, anche attraverso il coinvolgimento nel training dei lavoratori.

4. Attenuanti generiche
I giudici di legittimità ritengono adeguatamente motivato il diniego delle attenuanti ex art. 62-bis c.p., in quanto l’imputato non ha mostrato resipiscenza e ha mantenuto nel tempo una condotta imprudente e pericolosa.

Precedenti giurisprudenziali e principi richiamati

  • Cass., Sez. Un., n. 38343/2014 (Espenhahn): nesso causale nei reati omissivi – giudizio controfattuale.
  • Cass., Sez. 4, n. 10704/2012: prevalenza delle funzioni effettive sulla qualifica formale.
  • Cass., Sez. 4, n. 12478/2015: comportamento del lavoratore e interruzione del nesso causale.
  • Art. 40, comma 2 c.p.: equiparazione tra omissione e azione.
  • Art. 41, comma 2 c.p.: esclusione del nesso causale per causa sopravvenuta autonoma.
  • Art. 2087 c.c.: obbligo di sicurezza e protezione della salute del lavoratore.
  • Art. 20 D.Lgs. 81/08: obbligo del lavoratore di osservare le disposizioni impartite.

Conclusioni

La Sentenza n. 10460/2025 rappresenta un importante contributo giurisprudenziale in materia di sicurezza sul lavoro, ribadendo alcuni principi chiave:
 
  • il principio di effettività (art. 299 D.Lgs. 81/08), secondo cui la posizione di garanzia deriva dalle mansioni concretamente svolte, a prescindere dalla qualifica formale;
  • l’irrilevanza del comportamento imprudente del lavoratore se esso si inserisce nel contesto operativo abituale e non eccentrico;
  • la configurabilità del nesso causale nei reati omissivi impropri mediante giudizio controfattuale, sulla base della prevedibilità e prevenibilità dell’evento (Cass., S.U., n. 38343/2014);
  • la responsabilità autonoma e concorrente del dirigente e dei preposti, anche ove la prassi illecita sia tollerata o imposta da livelli superiori.
La Corte afferma con nettezza che l’omessa vigilanza, specie in presenza di condotte rischiose radicate nella prassi quotidiana, non è mai inoffensiva. In ambiti lavorativi ad alto rischio, il mancato esercizio della funzione di controllo costituisce essa stessa fonte di pericolo giuridicamente rilevante.
Area Legale
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