Sent. Cass Penale, Sez. 4, 21 settembre 2022, n. 34943: Responsabilità del Delegato alla Sicurezza e dell’Ente (Approfondimento)

21/11/2022

Sent. Cass Penale, Sez. 4, 21 settembre 2022, n. 34943: Responsabilità del Delegato alla Sicurezza e dell’Ente
 
Questioni trattate

 
La sentenza in esame affronta un aspetto poco noto relativo alla sfera delle responsabilità dei principali garanti della prevenzione all’interno di una Organizzazione che si è dotata di Modello Organizzativo ai sensi del D.Lgs. 231/01. Tratta infatti del potere di adottare in piena autonomia decisioni relative alla sicurezza, in forza di una procura speciale da parte di un Delegato alla Sicurezza con ruolo di RSPP, condizione non sufficiente a fare di un soggetto la figura apicale con funzioni di gestione (ai sensi dell’articolo 5 lettera a) del D.Lgs. 231/2001) e tale da far scattare in automatico la responsabilità dell'Ente.
 
Esposizione dei fatti
 
In una industria alimentare che produce pizze surgelate e che impiega accanto a lavoratori dipendenti, altri lavoratori provenienti da cooperativa allo scopo di fronteggiare particolari richieste di ordinativi in specifici periodi dell’anno, si verifica un infortunio.
 
L’impiego di una macchina alimentare per la pezzatura di formaggi aveva determinato lesioni gravi ad una mano dell'operatrice, con amputazione delle prime falangi di due dita e del pollice della mano dx, da cui era derivata una malattia superiore a 40 gg. e l'indebolimento permanente dell'organo della prensione.
 
Responsabilità contestate
 
Il Delegato alla sicurezza (ed RSPP) viene imputato in primo grado di giudizio in sede penale del reato di lesioni gravissime ai danni della dipendente per aver messo a disposizione una macchina per il taglio di pezzature di formaggio pericolosa per l'incolumità dei lavoratori, in quanto priva di dispositivi di sicurezza sugli organi di taglio in movimento.
 
Giudizio di I grado (Tribunale)
 
L’azienda alimentare viene riconosciuta responsabile dell'illecito amministrativo di cui all'art. 25 septies comma 3 D.Lgs. 231/2001 in relazione al delitto di cui sopra.
 
In primo grado il Tribunale emette una sentenza di condanna nei confronti del Delegato alla sicurezza (e RSPP) per reato di lesioni colpose (art. 590 c.p., art. 41 c.p.) e di condanna nei confronti dell'Azienda ritenuta responsabile dell'illecito di cui all'art. 25 septies comma 3 del D.Lgs. 231/01 in relazione allo stesso delitto, in quanto avrebbe tratto vantaggio e un indebito profitto dal mancato investimento per la messa a norma della macchina pezzatrice e per la mancata segregazione degli ambienti dove operavano in modo promiscuo dipendenti dell’Azienda alimentare e la cooperativa di lavoratori ausiliari a supporto della produzione.
 
Giudizio di II grado (Corte d’Appello)
 
A fronte del ricorso in appello la Corte territoriale dichiara il non doversi procedere nei confronti del Delegato alla sicurezza (RSPP) per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.
 
Confermava le statuizioni emesse nei confronti dell'Ente ritenuto responsabile contestando le prassi tollerate di promiscua utilizzazione di dipendenti di cooperativa accanto a dipendenti aziendali, l'assenza di idonea formazione e qualifica degli stessi nell'impiego di macchinari e l'assenza di interventi volti ad ovviare alle carenze tecniche riscontrate.
 
L'Azienda, a parere dei giudici di merito, aveva tratto un indebito vantaggio economico dal risparmio ottenuto dal mancato investimento per la messa a norma della macchina che aveva causato l'infortunio e dal mancato apprestamento di perimetrazioni d'area per impedire l'accesso a lavoratori estranei alla specifica attività.
 
Le carenze organizzative che avevano dato luogo all'evento erano immediatamente percepibili e riferibili all'Organizzazione ed erano già state specificamente segnalate dai RLS in occasione di una riunione avvenuta mesi prima dell'infortunio, con riferimento alla gestione dei rischi determinati da interferenze.
 
Il Delegato era stato investito, mediante procura speciale, del potere di compiere scelte decisionali in piena autonomia in materia di sicurezza, esclusa ogni ingerenza dell'organo amministrativo e dotato di mezzi finanziari per l'adempimento dei compiti nei limiti dell'importo di 25.000 euro e pertanto esso accentrava poteri gestionali e di spesa che gli conferivano una veste di soggetto posto ai vertici dell'Azienda al punto che aveva sottoscritto il DVR.
 
La sentenza di II grado rigetta dunque parzialmente il ricorso e conferma la condanna nei confronti dell’Azienda.
 
Motivi del ricorso in Cassazione
 
La difesa dell’Azienda a questo punto ricorre contro il giudizio espresso dalla Corte di Appello adducendo i seguenti principali motivi.
 
Richiama l’erronea valutazione dei principi in materia di causalità della colpa sulla base degli elementi acquisiti in esito all'istruttoria dibattimentale, avrebbe omesso di esplorare se l'evento non fosse stato originato da un comportamento non conforme dell'operatrice, a fronte della marcatura CE della macchina e del fatto che non fossero note denunce di infortunio occorse da che la macchina era stata commercializzata.
 
Lamenta inoltre il travisamento della prova nella parte in cui i giudici di merito avevano riconosciuto una prassi, tollerata dai vertici aziendali, consistita nel consentire anche al personale della ditta alimentare l'accesso all'area ove si svolgevano operazioni date in appalto.
 
Contesta la violazione dell'art. 5 lett. a), 7 comma 2 e 66 D.Lgs. n. 81/2008 con riferimento al riconoscimento dell'imputato Delegato alla Sicurezza ed RSPP quale figura apicale. La delega, a dire della difesa, risultava conferita con procura speciale e non generale al soggetto che disponeva di budget di spesa limitato, non aveva effettivi poteri gestionali e di spesa risultando pacifico, per costante giurisprudenza sul punto, che il delegato alla sicurezza nella protezione e prevenzione degli infortuni costituisce una figura ausiliaria e consultiva rispetto a quella gestionale.
 
Nessun interesse o vantaggio era dimostrabile in capo all'ente, non dimostrabile la sistematica inosservanza di regole cautelari e la  deliberata strategia imprenditoriale di sottrarsi agli obblighi concernenti la sicurezza sul lavoro.
 
Giudizio di III grado (Corte di Cassazione)
 
L’impianto difensivo appare agli occhi della Corte di Cassazione convincente perché accoglierà il ricorso pronunciando una sentenza di annullamento della sentenza impugnata e disponendo il rinvio ad altra sezione del giudice di II grado sulla base delle seguenti motivazioni.
 
Quanto al Delegato alla Sicurezza e RSPP
 
La Cassazione afferma che nonostante il proscioglimento dell'RSPP dal reato ascritto per intervenuta estinzione del reato per sopravvenuta maturazione del termine prescrizionale il giudice di appello, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lett. b) D.Lgs. n. 231 del 2001, deve procedere all'accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica (l’azienda alimentare) nel cui interesse e nel cui vantaggio l'illecito fu commesso.
 
Non viene contestato che soggetto delegato dal DdL al settore della sicurezza sul luogo di lavoro e con qualifica di RSPP, fosse soggetto agli obblighi di adeguamento del macchinario e all'adeguata segregazione dell'area di lavoro ad evitare uso promiscuo da parte di dipendenti dell’azienda alimentare rispetto agli addetti di cooperativa assegnatari delle specifiche attività per contratto.
 
L'evento lesivo non era la conseguenza di una solitaria, estemporanea e imprevedibile iniziativa della persona offesa, sfuggita al controllo degli altri addetti, ma frutto di una preordinata fase lavorativa, in quanto la lavoratrice si era portata nell'area lavorazione formaggi, che le avrebbe dovuto essere interdetta, per eseguire una prova di taglio unitamente ad un preposto che l'aveva incaricata per lo scopo.
 
Non vi era stata alcuna opera di informazione da parte del Delegato sulla necessità di evitare interferenze lavorative nell'area dedicata alla preparazione degli alimenti.
 
Quanto all'Ente
 
E’ apparso dimostrato che la duttilità lavorativa fosse il risultato di una prassi lavorativa tollerata, se non incentivata dal DdL, e non contrastata dal delegato alla sicurezza.
 
Dimostrata la ripetitività di comportamenti di violazione sistematica delle norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente l'Ente un vantaggio sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione (ad es. mancato adeguamento della macchina, mancata segregazione dell'area per consentire simultaneamente l'accesso a dipendenti dell'azienda alimentare e della cooperativa.
 
Viene inoltre precisato che l'art. 5 comma 1 lett. a) D.Lgs. 231/2001 afferma che la società è responsabile per i reati commessi …"da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da persone che esercitano anche di fatto, la gestione o il controllo dello stesso", ma l'RSPP, pur munito di procura speciale, non sarebbe stato figura apicale ma in staff con il DdL con potere di spesa circoscritto.
 
Il delegato inoltre è tenuto a rapportarsi e a riferire al delegante (nella specie il datore di lavoro amministratore della società) ai fini dell'adozione di quelle misure di prevenzione o di protezione che sfuggano al suo potere di gestione o di spesa.
 
Il principale vizio della sentenza impugnata è pertanto quello di avere operato una sorta di equiparazione tra "il potere di compiere scelte decisionali in piena autonomia in materia di sicurezza" ed il riconoscimento di una veste apicale, secondo la previsione dell'art. 5 lett. a) D.Lgs. 231/01; laddove la piena autonomia di decisione costituisce il presupposto di operatività della delega di funzioni in materia di prevenzione sul lavoro, ma non implica il riconoscimento di poteri di amministrazione, di gestione e di rappresentanza che coinvolgono l'ente nel suo complesso ovvero una articolazione organizzativa dello stesso.
 
Non è dunque nemmeno significativa la firma da parte del Delegato alla Sicurezza/RSPP del DVR per attestarne il ruolo di DdL.
 
La Corte di appello avrebbe dovuto dimostrare preliminarmente che il soggetto era stato costituito, cioè nominato, datore di lavoro.
 
Il procedimento quindi di fronte alla Corte di Cassazione si conclude con l’accoglimento delle ragioni espresse dalla difesa, l’annullamento della sentenza impugnata e il rinvio ad altra sezione del giudice di II grado (Corte di Appello) per un nuovo giudizio di merito da formularsi in base agli indirizzi dati.
 

Area Legale
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