Sent. Cass., Sez. 4, 13 gennaio 2022, n. 836: La normativa antinfortunistica dal modello "iperprotettivo" al modello “collaborativo”

24/01/2022

Sentenza Corte di Cassazione Penale, Sez. 4, 13 gennaio 2022, n. 836.
Il DdL non è responsabile di lesioni colpose se ha dato attuazione documentata a tutte le obbligazioni legate al suo ruolo.
Affermata l’evoluzione della normativa antinfortunistica dal modello "iperprotettivo" al modello “collaborativo”.


La Corte di Cassazione in una recentissima sentenza del 13 gennaio 2022 ha ripreso una linea interpretativa già espressa dalla medesima sezione con sentenza del 10 febbraio 2016 n. 8883, affermando che qualora il DdL effettui una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, fornisca dispositivi di protezione e adeguate istruzioni alla mansione, non risponde per lesioni colpose se viene provata la condotta esorbitante e imprevedibile del lavoratore.

Nel caso in esame un tornitore esperto, durante la fase di prelievo di un pezzo lavorato dopo la tornitura, si procurava una frattura scomposta della falange del quinto dito della mano destra, a causa della cattura della mano guantata da parte del mandrino ancora in rotazione, con conseguente inabilità temporanea di 40 gg e prognosi finale di 98 giorni.

I giudici di merito in 1° e 2° grado di giudizio avevano contestato al DdL il reato di lesioni colpose per mancata individuazione del rischio collegato al possibile contatto di parti del corpo dell’operatore con elementi del tornio e per mancata installazione di schermo frontale a protezione del mandrino.

All’RSPP si rimproverava di aver sottovalutato il rischio derivante dall’utilizzo del tornio in assenza di protezione frontale.
Al legale rappresentante della ditta produttrice del tornio si addebitava di aver venduto un macchinario sprovvisto di protezione degli organi in movimento, ancorchè marcata CE.
 
In fase di ricorso l’impianto difensivo del Datore di Lavoro e dell’RSPP mira a sostenere la violazione di legge della pronuncia dei giudici di merito per l’asserita mancanza della valutazione dei rischi e per non aver essi considerato la marcatura CE della macchina come probante la conformità ai requisiti di sicurezza.

In particolare viene affermato dalla difesa che il macchinario, all’epoca dei fatti, era conforme alla norma UNI EN 12840. Si specifica inoltre che lo schermo paraspruzzi era idoneo a contenere l’olio di emulsione ed era di adeguate dimensioni per lo scopo, non certo inteso a proteggere la zona di lavoro da possibili contatti con le parti in movimento. L’infortunio si sarebbe invece prodotto a causa dell’erroneo azionamento della leva di frizione, anziché del freno a pedale, da parte dell’operatore, il quale aveva contemporaneamente tentato di fermare il mandrino con l’uso dei guanti.

Inoltre viene ribadito che l’utilizzo dei guanti era espressamente vietato in fase di lavorazione a tornio attivo per il rischio di cattura delle mani. I guanti sarebbero serviti esclusivamente per estrarre il pezzo lavorato a tornio fermo. In tal modo la difesa ribadisce che nel caso di specie la violazione di un espresso divieto integra gli estremi dell’abnormità e del comportamento “eccentrico” del lavoratore, potendosi in tal modo escludere il nesso di causalità tra la condotta di DdL ed RSPP ed evento occorso.

Il costruttore attraverso i propri difensori eccepisce a sua volta vizio di motivazione e travisamento di prove decisive per erronea valutazione da parte dei giudici della necessità della presenza di uno schermo più ampio a protezione completa degli organi in movimento, necessitando l’operatore di poter accedere agli organi di azionamento. La sicurezza del macchinario era garantita invece da un freno pedale che, se attivato per tempo e secondo le corrette modalità, avrebbe sicuramente impedito l’evento e reso non necessaria la presenza dello schermo. In tal modo la condotta della vittima si sarebbe configurata come “esorbitante”.

Per la Corte di Cassazione i ricorsi sono risultati fondati e sono stati pertanto confermati dal giudice di legittimità i vizi di motivazione della sentenza impugnata.

Il lavoratore non avrebbe dovuto prelevare il pezzo lavorato fino al fermo completo della rotazione del mandrino, da effettuarsi attraverso il dispositivo di sicurezza costituito dal freno pedale.

I giudici della Suprema Corte si spingono ad affermare testualmente che “La ritenuta necessità di uno schermo "protettivo" sul macchinario in questione appare frutto di un ragionamento creativo, secondo la logica del "senno del poi", che, come noto, non può fondare il giudizio di colpevolezza colposa” e a tale proposito viene fatto richiamo a precedenti pronunce in cui veniva affermato che “il riscontro della colpa deve essere il risultato di un processo ricognitivo che individui a monte la regola cautelare che si assume violata”.

Dura la critica anche sulla mancata considerazione da parte dei giudici di merito delle concrete modalità lavorative, della mancata analisi dell’utilità e percorribilità della soluzione di carteratura proposta e circa il fatto che lo schermo protettivo non era richiesto nemmeno dalla norma UNI indicata.

I vizi logico giuridici hanno pertanto imposto l’annullamento della pronuncia della sentenza di Corte di Appello con rinvio per nuovo esame ad altra sezione.

Di rilievo il fatto che nella motivazione della sentenza la Corte di Cassazione abbia ribadito, come già era avvenuto nel 2016, che il sistema della normativa antinfortunistica si è evoluto passando da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori.
 
Area Legale
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