Tutela penale dell’ambiente: novità dalla Direttiva (UE) 2024/1203
06/10/2025
Contesto normativo e finalità della direttiva
La Direttiva (UE) 2024/1203, pubblicata l’11 aprile 2024, segna una svolta significativa nell’ambito della tutela penale dell’ambiente, imponendo agli Stati membri l’adozione di un modello normativo più armonizzato e rigoroso rispetto alla precedente Direttiva 2008/99/CE. L’Italia, in virtù dell’art. 9 della legge 13 giugno 2025, n. 91 (legge di delegazione europea 2024), è chiamata a recepire entro il 21 maggio 2026 i contenuti della direttiva, predisponendo i necessari decreti legislativi in base a quanto stabilito dall’art. 31 della legge n. 234/2012.Novità metodologiche
L’elemento metodologico di maggiore rilievo consiste nell’abbandono delle clausole generali e delle tipizzazioni elastiche a favore di un sistema di armonizzazione dettagliata, che vincola gli Stati non solo nella definizione delle fattispecie incriminatrici, ma anche nella determinazione delle pene principali, accessorie e delle misure collaterali. L’art. 3 della direttiva introduce, infatti, criteri oggettivi per valutare la rilevanza del danno ambientale: le condizioni originarie dell’ambiente colpito, la durata e la portata del danno, la reversibilità, nonché la natura pericolosa della condotta e la quantità non trascurabile dell’oggetto materiale del reato. Tali indici superano la vaghezza di nozioni attualmente utilizzate nell’ordinamento nazionale, quali “deterioramento” o “compromissione” dell’art. 452-bis c.p., oggetto di frequente contestazione in giurisprudenza (Cass. pen., Sez. III, n. 46170/2019). Evoluzione dell’apparato sanzionatorio
Sul piano sanzionatorio, l’art. 5 della direttiva prevede un innalzamento delle pene detentive: fino a otto anni per i reati qualificati, dieci anni in caso di morte di una persona, e da tre a cinque anni negli altri casi. Tali previsioni derogano ai limiti indicati dall’art. 32, comma 1, lett. d), della legge n. 234/2012, che fissava soglie più contenute per le sanzioni derivanti dal recepimento delle direttive. In parallelo, l’art. 7 impone l’estensione della responsabilità delle persone giuridiche, già prevista dal D.Lgs. 231/2001, introducendo sanzioni pecuniarie fino al 5% del fatturato annuo mondiale o, in alternativa, fino a 24 o 40 milioni di euro, a seconda della gravità del crimine ambientale. Accanto a queste, sono contemplate misure interdittive e, soprattutto, obblighi di ripristino o risarcimento del danno ambientale, in coordinamento con la parte VI del D.Lgs. 152/2006.Roadmap per il Governo italiano
Il Governo italiano dovrà pertanto intervenire su più fronti: aggiornare il Titolo VI-bis del codice penale, ridefinire le fattispecie in coerenza con gli indici normativi della direttiva, e armonizzare le norme in materia di responsabilità degli enti collettivi. Inoltre, l’art. 9 della legge di delegazione europea 2024 impone di introdurre meccanismi di cooperazione tra autorità nazionali, nonché strumenti di coordinamento investigativo e di cooperazione internazionale (artt. 10-13 direttiva 2024/1203). È altresì previsto l’obbligo per gli Stati membri di adottare una strategia nazionale di contrasto ai reati ambientali entro il 21 maggio 2027 e di predisporre sistemi di raccolta statistica sui reati ambientali (artt. 21-22 direttiva).Criteri di ridefinizione delle fattispecie di reato
Dal punto di vista sostanziale, il recepimento dovrà riconoscere pienamente l’ambiente come bene giuridico autonomo, in linea con la riforma costituzionale operata dalla legge cost. n. 1/2022, che ha modificato gli artt. 9 e 41 Cost., attribuendo all’ambiente una tutela diretta e separata rispetto a beni contigui come la vita o la salute. Ciò comporta che la tipizzazione delle fattispecie dovrà fondarsi su parametri oggettivi e misurabili, nel rispetto del principio di determinatezza sancito dall’art. 25, co. 2, Cost. e dall’art. 7 CEDU, evitando il rischio di norme meramente simboliche prive di effettiva applicabilità.Prospettive future
In prospettiva, l’apparato sanzionatorio italiano sarà quindi chiamato a evolversi in senso non solo afflittivo, ma anche ripristinatorio e deterrente, rafforzando la corresponsabilizzazione degli enti collettivi e incentivando l’adozione di modelli organizzativi idonei alla prevenzione (D.Lgs. 231/2001, art. 12, co. 2). La direttiva impone inoltre la formazione specializzata delle autorità competenti e l’allocazione di adeguate risorse tecniche e finanziarie, valorizzando anche le potenzialità delle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale nelle indagini (cfr. Fimiani-Sgorbati, 2025).Conclusioni
In conclusione, la Direttiva (UE) 2024/1203 obbliga l’Italia a un ripensamento organico del diritto penale ambientale. La sua attuazione dovrà garantire una tutela effettiva e proporzionata, fondata su criteri oggettivi e armonizzati, con un sistema sanzionatorio in grado di coniugare prevenzione, repressione e riparazione, in linea con gli standard europei e costituzionali.